mercoledì 29 febbraio 2012

Le parole degli hobbit

Nell'articolo da me precedentemente pubblicato, ho parlato del rapporto esistente tra il Tolkien romanziere e il personaggio dello hobbit. Ho affermato che il professore di Oxford ha dato vita ad un mondo (quello popolato dagli hobbit appunto) in qualche misura coerente e autonomo al suo interno, capace di avvincere i lettori in una spirale fatta di progressiva sospensione dell'incredulità e di coinvolgimento totale con i fatti descritti. (Sulle Fiabe, J.R.R. Tolkien)
Egli, cosciente o meno di ciò, ha originato un autentico "universo secondario", in cui gli hobbit rivestono il ruolo di protagonisti e, nel medesimo tempo, anche di mediatori tra i fatti meravigliosi della Terra di Mezzo e la realtà dei lettori.
Ma, in tutto questo, chi sono gli hobbit? E quali sono le caratteristiche che li denotano come soggetti chiave dell'opera tolkieniana?
Primariamente è bene definire l'origine del loro nome: "hobbit" è una parola che Tolkien ha sempre sostenuto di avere inventato, anzi, per meglio dire, sarebbe stato proprio il termine in questione a provocare nella sua mente la figura dell'hobbit.
Il professore ha lasciato varie descrizioni del momento specifico in cui tutto ha avuto origine.Vediamone un paio:
"avevo un'enorme pila di compiti là (indica a destra), e correggere compiti d'estate è un lavoro enorme, molto laborioso e purtroppo anche molto noioso. Ricordo che presi un compito e scoprii -gli stavo quasi dando il voto massimo- che una pagina di quel compito era stata lasciata bianca. Gloria. Niente da leggere, così vi scarabocchiai sopra, non so perché, "In un buco nel terreno viveva un hobbit". (intervista della BBC a J.R.R. Tolkien)

"Uno dei candidati aveva graziosamente lasciato una delle pagine del compito bianche, la cosa migliore che possa capitare a un esaminatore. Io ci scrissi sopra "In una caverna sotto terra viveva un hobbit". I nomi spesso facevano scaturire dalla mia mente una storia. Alla fine pensai che fosse meglio scoprire a che cosa somigliassero gli hobbit. E questo non fu che l'inizio".
(La vita di J.R.R. Tolkien, H.Carpenter)

Oltre a queste spiegazioni dal sapore quasi leggendario, vi sono poi alcune interpretazioni linguistiche, secondo le quali la parola "hobbit" potrebbe avere radici nell'antica lingua inglese. Tolkien stesso ha avanzato un'ipotesi di questo genere, proponendo come antenato linguistico il termine hol-bytla, o "colui che abita in un buco". (Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson)
Qualunque sia la derivazione della parola, tuttavia, una cosa appare certa: gli hobbit sono creature che irrimediabilmente vivono in caverne sotterranee, anche se dotate di ogni genere di comodità, come ben si può evincere dalla lettura de Lo Hobbit.
In innumerevoli pagine de Il Signore degli Anelli, inoltre, queste creature sono appellate"mezz'uomini", espressione che denota anch'essa una caratteristica essenziale dell'essere hobbit, e cioè la statura. Essi sono assai piccoli rispetto a noi uomini, alti all'incirca il doppio, eppur molto resistenti e coraggiosi, specialmente quando messi alle strette. Gli hobbit sono veramente rustici e adattabili con facilità alle situazioni avverse, nonostante il loro animo giocoso e, a tratti, quasi infantile. Tanto è vero che si potrebbe affermare che, della loro personalità, fanno parte due opposte dimensioni: il fanciullo da un lato, irrequieto e gioioso, e il vecchio dall'altro, saggio e paziente, ma fossilizzato su una meticolosa quotidianità. (Infanzia e mondi fantastici, W. Grandi)
In conclusione, questa incredibile invenzione letteraria manifesta una miriade di piccoli contrasti, sia linguistici che di significato. Ma non sono forse proprio le mille contraddizioni, uno degli aspetti che più ci affascina di Tolkien?

Nota per i lettori:
nel presente articolo, parlando di universo secondario, si fa riferimento solo ai libri de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli, tralasciando invece il comparto mitologico contenuto ne Il Silmarillion.





mercoledì 22 febbraio 2012

Gli hobbit......e Tolkien

"In realtà io sono un hobbit (in tutto tranne che nella statura)".
(La realtà in trasparenza, H. Carpenter)

Sono parole, queste, scritte dall'autore stesso; parole che inducono i lettori a sorridere affettuosamente, ma anche a riflettere sulla reale natura del binomio "hobbit-Tolkien".
Egli si considerava davvero un hobbit? O, detto in altra maniera, la sua creazione per eccellenza è riuscita sinceramente ad instaurare un intimo rapporto con alcuni aspetti della vita del professore?
Credo che domande di siffatto genere passino, almeno una volta, nella mente di ogni persona che si interessi alle vicende della Terra di Mezzo. Non foss'altro perché dalle opere di Tolkien traspare un'autenticità eccezionale, come se egli si occupasse di fatti realmente accaduti.
Le descrizioni di luoghi e personaggi, sia ne Lo Hobbit che ne Il Signore degli Anelli, sono tanto meticolose e particolareggiate, da spingere i lettori a credere che egli potesse vederne gli originali nel momento stesso in cui ha composto i suoi scritti.
Un critico tolkieniano ha esposto il suo giudizio sul professore di Oxford con le seguenti, e illuminanti, parole: "magari il corpo è racchiuso in questa piccola stanza di periferia, ma la mente è molto lontana: vaga per le pianure e le montagne della Terra di Mezzo". (La vita di J.R.R. Tolkien, H. Carpenter)
Difficile rimanere indifferenti alle suggestioni che tale affermazione lascia affiorare nel pensiero: Tolkien ha infuso talmente tanto della sua personalità negli hobbit e nella Terra di Mezzo, da non poterne più essere completamente scisso. Cosa significa questo? Che egli ha vissuto i suoi anni più produttivi (dal punto di vista letterario) in una specie di realtà secondaria, surrogato della vita vera?
Assolutamente no, ma è proprio questo il punto nodale: Ronald Tolkien è riuscito a forgiare una dimensione mitologica coerente e logica al suo interno (cosa, questa, non semplice da farsi e a cui molti dei suoi seguaci hanno, senza risultato, aspirato).
Egli ha dato vita ad un mondo secondario consistente e unitario, plausibile per i lettori che in esso finiscono per identificarsi. Abbandonandosi alle storie degli hobbit, si sospende volontariamente l'incredulità e ci si lascia trasportare in un universo che si accetta come "vero", o, per meglio dire, "verosimile".
Per ritornare alla domanda di inizio articolo, quindi, la risposta più corretta da dare è: "no, Tolkien non si considerava un hobbit". Ma certamente era consapevole della profonda relazione esistente tra le creazioni letterarie e la sua vita.
Con questo, tuttavia, non si deve supporre che il professore ritenesse le une specchio dell'altra: Tolkien non amava diffondere al grande pubblico dettagli sulla sua vita privata, della quale si conosce tuttora relativamente poco, e parimenti riteneva inutile indagare quest'ultima con l'intento di ricercarvi i significati inscritti nelle opere stesse.

Tolkien è davvero un autore complesso, da problematizzare in continuazione!





lunedì 20 febbraio 2012

Il buon giorno di Bilbo

[...]Tutto quello che l'ignaro Bilbo vide quel mattino era un vecchio con un baatone. Aveva un alto cappello blu a punta, un lungo mantello grigio, una sciarpa argentea sulla quale la lunga barba bianca ricadeva fin sotto la vita, e immensi stivali neri.
"Buon giorno!" disse Bilbo; e lo pensava veramente. Il sole brillava e l'erba era verdissima. Ma Gandalf lo guardò da sotto le lunghe sopracciglia irsute ancora più sporgenti della tesa del suo cappello.
"Che vuoi dire?" disse. "Mi auguri un buon giorno o vuoi dire che è un buon giorno che mi piaccia o no; o che ti senti buono, quest'oggi; o che è un giorno in cui si deve essere buoni?!.
"Tutto quanto" disse Bilbo. "E' un bellissimo giorno per una pipata all'aperto, per di più. Se avete una pipa con voi, sedetevi e prendete un po' del mio tabacco! Non c'è fretta, abbiamo tutto il giorno davanti a noi!". E Bilbo si sedette su un sedile accanto alla porta, incrociò le gambe e fece un bell'anello grigio di fumo che salì in aria senza rompersi e si librò sopra la Collina.
"Graziosissimo!" disse Gandalf. "Ma stamattina non ho tempo di fare anelli di fumo. Cerco qualcuno con cui condividere un'avventura che sto organizzando ed è molto difficile trovarlo".
"Lo credo bene, da queste parti! Siamo gente tranquilla e alla buona e non sappiamo che farcene delle avventure. Brutte fastidiose scomode cose! Fanno far tardi a cena! Non riesco a capire cosa ci si trovi bello!" disse il nostro signor Baggins, e infilati i pollici sotto le bretelle fece un anello di fumo ancora più grande. Poi tirò fuori la posta del mattino e cominciò a leggerla, ostentando d'ignorare completamente il vecchio. Aveva deciso che non era proprio il suo tipo e voleva che se ne andasse. Ma il vecchio non si mosse. Stava fermo, appoggiato al suo bastone, fissando lo hobbit senza dire niente, finché Bilbo si sentì a disagio e anche un po' seccato.
"Buon giorno!" disse alla fine. "Non vogliamo nessuna avventura qui, grazie tante! Potete tentare sopra la Collina o al di là dell'Acqua". Con ciò voleva dire che la conversazione era conclusa.
"Però, quante cose sai dire col tuo Buon giorno!" disse Gandalf. "Adesso vuoi dire che ti vuoi sbarazzare di me e che il giorno non sarà affatto buono finché non me ne sarò andato"[...]
(Lo Hobbit, J.R.R. Tolkien)


Proprio un magnifico pezzo di letteratura! Che dimostra ancora una volta l'abilità tolkieniana di unire uno stile squisitamente umoristico con le minuzie e i cavilli della lingua.
Ogni situazione letteraria, per quanto fiabesca e apparentemente accessibile, sottende sempre un significato più complesso e radicato in una dimensione profonda, a sua volta strettamente avvinta al linguaggio stesso.




sabato 18 febbraio 2012

La Contea e la Merry England


Perché la Contea di Tolkien può rientrare a pieno titolo nella definizione di "Inghilterra fantastica" cui ho fatto riferimento nell'introduzione?
Per una ragione molto semplice: la Contea è un' incantevole rappresentazione di quello che già qualcuno prima di me ha definito "Merry England", ovvero "il sogno di un' Inghilterra rurale, fatta di cottage dai giardini curati, di lindi villaggi, di gente semplice e onesta, di quiete e candore". (da Infanzia e mondi fantastici W.Grandi)
La Contea, insomma, esprime pienamente l'ideale fantastico di un luogo lontano dal tempo e dallo spazio reali, e lontano soprattutto dalla sudicia società industriale, che, con i suoi prodotti corrosivi e la sua logica massificatrice, ha distrutto le antiche comunità agresti fondate sulla solidarietà tra individui e sulla genuinità del fare.
Tolkien stesso ha ricercato per tutta la vita la "sua" Contea, identificandola nella campagna inglese del Worcestershire e descrivendola poi con dovizia di particolari ne Il Signore degli Anelli. Egli, infatti, durante l'infanzia ha vissuto con la madre e il fratello a Sarehole, un villaggio della campagna inglese non distante da Birmingham. Il giovane Tolkien è rimasto in questo luogo solo per pochi anni, rivelatesi tuttavia molto formativi per la sua mente e il suo immaginario fantastico. E' qui, infatti, che ha interiorizzato l'amore per gli alberi, per la natura, e per le piccole cose autentiche che riempiono l'esistenza.
"Durante i miei primi anni di vita ho vissuto nella Contea in un'epoca preindustriale": sono queste le parole con cui il nostro autore soleva parlare della sua infanzia.
Se ci si sofferma sulle descrizioni della Contea, ci si trova immediatamente immersi in un mondo chimerico e affascinante, in cui tutto è brillante e delizioso: la vegetazione sfavilla di colori e l'aria è densa di profumi, ogni cosa cresce ed è genuina. Si tratta quindi di una terra bucolica, di un sogno meraviglioso scaturito a sua volta da un'immaginazione fervida e incontenibile.

.....e leggendo e leggendo ......ci si inabissa completamente nel mondo di Tolkien.

La cucina della signora de' Topis Viendallalbero



Che magnifici dettagli! Ogni cosa trova la sua giusta collocazione su scaffali e scomparti.

Tutti gli acquerelli di Jill Barklem sono degli autentici capolavori di minuzie.

Introduzione

I Love England....ovvero alla ricerca di quell'Inghilterra fantastica, rurale ed autentica, che fa capolino in tante opere letterarie, riempiendole di meravigliosi sostegni per la mia fantasia.
Non si tratta, in verità, di luoghi reali, ma piuttosto di sensazioni: immagini sfuggenti e sfuocate di qualcosa che non è mai esistito ma che riesce comunque ad affascinarmi, spingendomi oltre i confini del solito e del banale.
Come non rimanere incantati dalla Contea tolkieniana? Un luogo in cui si costruiscono ancora oggetti con le proprie mani, circondati da una seducente campagna fatta di pascoli verdi e ruscelli scroscianti.
O ancora, come non sognare di essere invitati a prendere il tè nel Palazzo della Vecchia Quercia, la più bella dimora esistente a Boscodirovo?.......Ecco cosa significa per me I Love England.