Nell'articolo da me precedentemente pubblicato, ho parlato del rapporto esistente tra il Tolkien romanziere e il personaggio dello hobbit. Ho affermato che il professore di Oxford ha dato vita ad un mondo (quello popolato dagli hobbit appunto) in qualche misura coerente e autonomo al suo interno, capace di avvincere i lettori in una spirale fatta di progressiva sospensione dell'incredulità e di coinvolgimento totale con i fatti descritti. (Sulle Fiabe, J.R.R. Tolkien)
Egli, cosciente o meno di ciò, ha originato un autentico "universo secondario", in cui gli hobbit rivestono il ruolo di protagonisti e, nel medesimo tempo, anche di mediatori tra i fatti meravigliosi della Terra di Mezzo e la realtà dei lettori.
Ma, in tutto questo, chi sono gli hobbit? E quali sono le caratteristiche che li denotano come soggetti chiave dell'opera tolkieniana?
Primariamente è bene definire l'origine del loro nome: "hobbit" è una parola che Tolkien ha sempre sostenuto di avere inventato, anzi, per meglio dire, sarebbe stato proprio il termine in questione a provocare nella sua mente la figura dell'hobbit.
Il professore ha lasciato varie descrizioni del momento specifico in cui tutto ha avuto origine.Vediamone un paio:
"avevo un'enorme pila di compiti là (indica a destra), e correggere compiti d'estate è un lavoro enorme, molto laborioso e purtroppo anche molto noioso. Ricordo che presi un compito e scoprii -gli stavo quasi dando il voto massimo- che una pagina di quel compito era stata lasciata bianca. Gloria. Niente da leggere, così vi scarabocchiai sopra, non so perché, "In un buco nel terreno viveva un hobbit". (intervista della BBC a J.R.R. Tolkien)
"Uno dei candidati aveva graziosamente lasciato una delle pagine del compito bianche, la cosa migliore che possa capitare a un esaminatore. Io ci scrissi sopra "In una caverna sotto terra viveva un hobbit". I nomi spesso facevano scaturire dalla mia mente una storia. Alla fine pensai che fosse meglio scoprire a che cosa somigliassero gli hobbit. E questo non fu che l'inizio".
(La vita di J.R.R. Tolkien, H.Carpenter)
Oltre a queste spiegazioni dal sapore quasi leggendario, vi sono poi alcune interpretazioni linguistiche, secondo le quali la parola "hobbit" potrebbe avere radici nell'antica lingua inglese. Tolkien stesso ha avanzato un'ipotesi di questo genere, proponendo come antenato linguistico il termine hol-bytla, o "colui che abita in un buco". (Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson)
Qualunque sia la derivazione della parola, tuttavia, una cosa appare certa: gli hobbit sono creature che irrimediabilmente vivono in caverne sotterranee, anche se dotate di ogni genere di comodità, come ben si può evincere dalla lettura de Lo Hobbit.
In innumerevoli pagine de Il Signore degli Anelli, inoltre, queste creature sono appellate"mezz'uomini", espressione che denota anch'essa una caratteristica essenziale dell'essere hobbit, e cioè la statura. Essi sono assai piccoli rispetto a noi uomini, alti all'incirca il doppio, eppur molto resistenti e coraggiosi, specialmente quando messi alle strette. Gli hobbit sono veramente rustici e adattabili con facilità alle situazioni avverse, nonostante il loro animo giocoso e, a tratti, quasi infantile. Tanto è vero che si potrebbe affermare che, della loro personalità, fanno parte due opposte dimensioni: il fanciullo da un lato, irrequieto e gioioso, e il vecchio dall'altro, saggio e paziente, ma fossilizzato su una meticolosa quotidianità. (Infanzia e mondi fantastici, W. Grandi)
In conclusione, questa incredibile invenzione letteraria manifesta una miriade di piccoli contrasti, sia linguistici che di significato. Ma non sono forse proprio le mille contraddizioni, uno degli aspetti che più ci affascina di Tolkien?
Nota per i lettori:
nel presente articolo, parlando di universo secondario, si fa riferimento solo ai libri de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli, tralasciando invece il comparto mitologico contenuto ne Il Silmarillion.
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