"In realtà io sono un hobbit (in tutto tranne che nella statura)".
(La realtà in trasparenza, H. Carpenter)
Sono parole, queste, scritte dall'autore stesso; parole che inducono i lettori a sorridere affettuosamente, ma anche a riflettere sulla reale natura del binomio "hobbit-Tolkien".
Egli si considerava davvero un hobbit? O, detto in altra maniera, la sua creazione per eccellenza è riuscita sinceramente ad instaurare un intimo rapporto con alcuni aspetti della vita del professore?
Credo che domande di siffatto genere passino, almeno una volta, nella mente di ogni persona che si interessi alle vicende della Terra di Mezzo. Non foss'altro perché dalle opere di Tolkien traspare un'autenticità eccezionale, come se egli si occupasse di fatti realmente accaduti.
Le descrizioni di luoghi e personaggi, sia ne Lo Hobbit che ne Il Signore degli Anelli, sono tanto meticolose e particolareggiate, da spingere i lettori a credere che egli potesse vederne gli originali nel momento stesso in cui ha composto i suoi scritti.
Un critico tolkieniano ha esposto il suo giudizio sul professore di Oxford con le seguenti, e illuminanti, parole: "magari il corpo è racchiuso in questa piccola stanza di periferia, ma la mente è molto lontana: vaga per le pianure e le montagne della Terra di Mezzo". (La vita di J.R.R. Tolkien, H. Carpenter)
Difficile rimanere indifferenti alle suggestioni che tale affermazione lascia affiorare nel pensiero: Tolkien ha infuso talmente tanto della sua personalità negli hobbit e nella Terra di Mezzo, da non poterne più essere completamente scisso. Cosa significa questo? Che egli ha vissuto i suoi anni più produttivi (dal punto di vista letterario) in una specie di realtà secondaria, surrogato della vita vera?
Assolutamente no, ma è proprio questo il punto nodale: Ronald Tolkien è riuscito a forgiare una dimensione mitologica coerente e logica al suo interno (cosa, questa, non semplice da farsi e a cui molti dei suoi seguaci hanno, senza risultato, aspirato).
Egli ha dato vita ad un mondo secondario consistente e unitario, plausibile per i lettori che in esso finiscono per identificarsi. Abbandonandosi alle storie degli hobbit, si sospende volontariamente l'incredulità e ci si lascia trasportare in un universo che si accetta come "vero", o, per meglio dire, "verosimile".
Per ritornare alla domanda di inizio articolo, quindi, la risposta più corretta da dare è: "no, Tolkien non si considerava un hobbit". Ma certamente era consapevole della profonda relazione esistente tra le creazioni letterarie e la sua vita.
Con questo, tuttavia, non si deve supporre che il professore ritenesse le une specchio dell'altra: Tolkien non amava diffondere al grande pubblico dettagli sulla sua vita privata, della quale si conosce tuttora relativamente poco, e parimenti riteneva inutile indagare quest'ultima con l'intento di ricercarvi i significati inscritti nelle opere stesse.
Tolkien è davvero un autore complesso, da problematizzare in continuazione!
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