martedì 27 marzo 2012

La figura di Frodo

Tra i vari argomenti tolkieniani da me trattati negli ultimi articoli ce n'è uno che, per quanto tralasciato fino ad ora, occupa un posto particolare nel mio cuore di lettrice e sognatrice : la figura emblematica di Frodo Baggins.
Chi è Frodo? Quali significati trasmettono le sue azioni e perché egli riveste un ruolo di siffatta importanza nello svolgersi della storia descritta nel Lord?
Nel presente brano cercherò di offrire, rispondendo a queste ed altre domande, una specie di chiave di lettura per comprendere appieno l'intenzionalità comunicativa e letteraria dell'autore (o perlomeno quella che sembra emergere dagli scritti lasciati ai posteri).
Volendo iniziare dal principio Frodo è un hobbit, ma non un hobbit comune, bensì particolare e fuori dell'ordinario. È stranamente malinconico per essere una di queste creature dall' indole gioiosa, vivace ed entusiasta del mondo circostante. È spesso immerso nei suoi pensieri, dimostrando un'introflessione poco degna di un hobbit (si pensi ad esempio ai cugini Merry e Pipino dal carattere molto più frivolo, almeno in apparenza), ama ascoltare le antiche storie che Bilbo gli racconta e conosce varie lingue tra cui l'elfico. Come lo zio, insomma, è un hobbit colto e soprattutto poco incline a lasciarsi trascinare nella banalità e ripetitività dell'esistenza. Ciò potrebbe scaturire al fatto che in Frodo scorre sangue Tuc, famiglia hobbit non particolarmente rispettata proprio per via della stravaganza dei suoi membri. Stando alle prime pagine de Lo Hobbit, infatti, pare che un antenato Tuc abbia preso in moglie una Fata. Quel che è certo è che lo stesso Bilbo (la cui madre portava il suddetto cognome) abbandona le comodità e il calore della sua grande e bella casa per cimentarsi in un'impresa ardua e pericolosa, di certo non tipicamente hobbit!
Avventura che, peraltro, gli cambia completamente l'esistenza, rendendolo un hobbit diverso rispetto al momento della partenza. Anche Frodo dimostra sempre un'enorme ammirazione per lo zio, che coraggiosamente era riuscito a vivere esperienze incredibili incamminandosi su sentieri sconosciuti. Il destino vuole che proprio il giovane Frodo finisca per seguire le orme di Bilbo.
Un altro aspetto tuttavia unisce i due hobbit: entrambi, in momenti differenti, provano un sentimento di pietà per la creatura Gollum. Ed ecco che un altro personaggio fondamentale fa la sua comparsa tra le righe del discorso. Gollum è, per Frodo, una specie di alter ego; o forse, per meglio dire, uno specchio di sé stesso, di quel suo lato malvagio facilmente preda della seduzione dell'Anello. Frodo, durante il suo faticoso incedere verso Mordor, si aggrappa strenuamente alla speranza che anche quell'essere strisciante e viscido possa essere redento. Perché lui stesso possa essere redento. Ancora una volta Il Signore degli Anelli si mostra come un viaggio di redenzione dell'umile, un'ascensione personale verso il miglioramento e la salvezza. Ed è proprio qui che si dipana la dimensione cristiana del romanzo: l'idea che solo la pietà possa salvare l'umanità. Frodo ha tante occasioni per uccidere Gollum, ma non lo fa mai provando per lui sempre un misto di compassione e indulgenza. Lo comprende in profondità perché in lui vede, e commisera, sé stesso.
D'altro canto, però, lo stesso Gollum non sembra completamente immune alla benevolenza, qualcosa di buono c'è ancora nel suo animo e lo testimonia una scena in cui Frodo e Sam stanno riposando ed egli, avvicinandosi, sfiora il ginocchio del padrone. Ma vediamo con quali parole Tolkien descrive la situazione: “[...]più che un tocco era una carezza. Per un attimo fugace, se uno dei dormienti l'avesse potuto vedere, avrebbe avuto l'impressione di mirare un vecchio Hobbit stanco, logorato dagli anni che lo avevano trascinato assai oltre il suo tempo,[...]ormai nient'altro che un vecchio e pietoso derelitto”. Per tutto il romanzo Gollum è attanagliato da una feroce disputa tra due parti contrapposte della sua personalità: una malvagia e oscura, sottomessa al potere dell'Anello, l'altra servile e affranta, malinconicamente consapevole di ciò che ha perduto per sempre.
Il compagno migliore che Frodo ha è ovviamente Sam, il fedele e coraggioso giardiniere di casa Baggins, che non abbandona l'amico nemmeno nelle situazioni più difficili. Lo accompagna fin sulla bocca del Monte Fato, cedendogli la sua acqua, nutrendolo e proteggendo il suo sonno in ogni modo, addirittura sollevandolo sulle proprie spalle nell'ultimo brandello di strada.
Questi due personaggi sono uniti da un amore non immediatamente definibile: non possono essere classificati come amici, tanto viscerale è il legame, eppure il loro reciproco affetto oltrepassa anche quello fraterno, probabilmente approdando alla dimensione dell'amore genitoriale che un padre prova verso un figlio. Così accade tra Sam, forte e premuroso, e Frodo, fragile e in quale modo pieno di insicurezze.
Ed eccoci giunti alla fine.
Certo, alla fine Frodo fallisce, ma Tolkien non gliene vuole e concede ancora molto a quella sua piccola creatura che ha sofferto e si è scontrato con le inevitabili manchevolezze della condizione umana: la fallibilità, la precarietà, l'imperfezione. Nessun uomo riuscirebbe a portare a termine un'impresa di tale portata. Frodo è in effetti destinato al fallimento sin dalle prime battute del romanzo (tanto che egli stesso lo ripete in continuazione), ma ciò non gli impedisce di tentare seppur con le misere forze di cui dispone. Egli obbedisce e così facendo prosegue il viaggio arrancando lungo quell'interminabile salita che lo separa dal cratere del vulcano, in un'immagine che probabilmente ricordava allo scrittore i tanti soldati inglesi che, come lui, avevano combattuto la Grande Guerra, portando in trincea solo la propria pelle e un immenso coraggio. E' l'eroismo perenne e quotidiano”. (E. Lodigiani, Invito alla lettura di Tolkien).
Ma come esce da tutto ciò? Inevitabilmente cambiato nel profondo dell'animo, lacerato da tante e tali ferite che nessuna dolce Contea può guarire. E così parte, abbandona le terre mortali per solcare il mare con Gandalf e gli Elfi: questa è la ricompensa che Tolkien gli accorda.

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