Durante
i mesi di documentazione sull’opera tolkieniana, mi è capitato
spesso di inciampare nell’idea che questo autore abbia voluto
trasmettere un qualche contenuto religioso ai suoi lettori, come se
uno degli intenti del suo lavoro letterario sia stato quello di
“convertire” i malcapitati, intrappolandoli in una ragnatela
fatta di sottile simbolismo cristiano.
Personalmente
non ho mai ritenuto veritiero questo filone di pensiero, nonostante
sia innegabile il profondo legame esistente tra il professor Tolkien
e la dottrina cattolica. Esso, a ben guardare, affonda le radici
molto in lontananza, nell’infanzia dello scrittore, e rimane
indissolubilmente avvinto al rapporto con la madre Mabel. Una madre
che, abbandonata da tutto il resto della famiglia dopo la morte del
marito, ha combattuto e sofferto per crescere i suoi figli nei valori
del cattolicesimo. E che in ultima istanza è morta affidando i
fratelli Tolkien ad un intimo amico di famiglia, padre Francis.
Ronald
non avrebbe mai potuto abbandonare una fede conquistata con tanto
patimento; ne fece invece un punto fermo nella propria vita, un
baluardo di verità per nutrire la propria mente.
“Mia
madre è stata veramente una martire; non a tutti Gesù concede di
percorrere una strada così facile, per arrivare ai suoi grandi doni,
come ha concesso a Hilary e a me, dandoci una madre che si uccise con
la fatica e le preoccupazioni per assicurarsi che noi crescessimo
nella fede”.
(La
vita di J.R.R. Tolkien, H. Carpenter)
Le
infelici vicende della sua giovinezza lo hanno reso un uomo
pessimista, riversato spesso su sé stesso, in certi momenti incline
allo smarrimento: “ questo lato del suo animo era capace
di periodi di profonda disperazione. Più precisamente, e soprattutto
in relazione alla morte della madre,quando questa indole prevaleva in
lui gli imprimeva un intimo sentimento della caducità delle cose.
Niente vi sfuggiva, niente sarebbe durato in eterno, nessuna
battaglia sarebbe stata vinta per sempre”.
(La
vita di J.R.R. Tolkien)
La
credenza cattolica ha naturalmente acuito quest’anima sfiduciata e
triste, rendendolo cosciente della fallibilità umana, della sua
esistenza precaria e della sua radicata incapacità a far del bene.
Per Tolkien l’umanità è malvagia, e la Grande guerra che ha
inghiottito tanti giovani della sua generazione ne è un esempio.
Così come lo sono anche i terribili marchingegni militari ideati per
la Seconda guerra mondiale.
“Le
macchine che risparmiano la fatica creano solamente fatica peggiore e
senza fine. E in aggiunta a questa sostanziale incapacità di creare,
c'è la Caduta, che fa sì che i nostri aggeggi non solo falliscano i
loro obiettivi, ma diano vita ad altre cose malefiche e orribili.
Così inevitabilmente da Dedalo a Icaro arriviamo al bombardiere
gigante. Non è certo un passo avanti sulla strada della saggezza!”.
(La
realtà in trasparenza, a cura di H. Carpenter)
Ronald
tuttavia, come già espresso in altri articoli, è abbastanza
altalenante nell’esprimere concetti di siffatta specie: in certi
momenti le sue parole appaiono piene di sconforto, come se non fosse
praticabile nessuna via verso la salvezza, in altre invece una
qualche redenzione sembra possibile.
“[...]
vecchia, vecchia, squallida, infinita immutabile incurabile
corruzione. Tutte le città, tutti i paesi, tutte le abitazioni degli
uomini – fogne! E allo stesso tempo uno sa che c'è sempre un po'
di bene: sempre più nascosto, sempre meno chiaramente discernibile,
che raramente esce allo scoperto […]”.
(La
realtà in trasparenza)
A
ben guardare l'intero Signore degli Anelli appare
come un viaggio di liberazione
morale e riscatto dell'umile,
dell'uomo semplice che ogni giorno combatte contro le proprie
debolezze ed imperfezioni, soffrendo ma procedendo ugualmente verso
traguardi più alti E' quasi
scontato domandarsi quanto ci sia, in questa immagine, dei tanti
soldati che il professor Tolkien aveva conosciuto al fronte e
soprattutto quanta clemenza ci sia verso di loro.
Così
dicendo sono giunta ad un concetto fondamentale all'interno
dell'opera e del pensiero tolkieniani: la pietà che salva e redime.
E' la pietà,
nella mente di Ronald, il sentimento che può indurre l'umanità al
cambiamento, e soprattutto al miglioramento interiore. Per
lui i buoni valori da seguire sono eminentemente cristiani come
l'obbedienza, l'umiltà e la benevolenza verso il prossimo. Tutti
sentimenti che anche Frodo dimostra di possedere in abbondanza. E
allora, in questo modo, anche le manchevolezze connaturate all'essere
uomini possono essere perdonate;
poiché, essendo noi tutti creature imperfette e fallaci, sta solo
alle nostre azioni dimostrare che possiamo crescere.
Frodo
prova pietà verso Gollum perché vede in lui un riflesso di sé
stesso. Decide di risparmiarne la vita poiché non è suo compito
decidere chi debba vivere e chi morire, come anche Gandalf gli fa
notare. Il triste hobbit è ben conscio che l'anello lo sta
lentamente corrompendo, ma desidera continuare a credere che esista
una possibilità di assolvimento, redenzione e mutamento positivo.
Cosa,
quest'ultima, che peraltro si verifica sia ne Il Signore
degli Anelli, sia in tutti gli
altri romanzi di Ronald: si tratta dell'eucatastrofe, o catastrofe
positiva, detta in altri termini. Egli, da buon fedele, crede
fermamente nell'intervento divino, nell'eventualità che una forza
superiore (e non necessariamente
comprensibile) intervenga nelle vicende umane per cambiarle.
L'eucatastrofe sarebbe,
quindi, il radicale
ribaltamento di una circostanza
negativa
votata interamente all'insuccesso.
Esattamente ciò che sta
accadendo quando Frodo,
dinnanzi al cratere del vulcano, decide di non compiere il destino
per cui in quel luogo è
giunto, gettando
la situazione nello sfacelo più completo. Frodo fallisce, fallisce
nell'esatto momento in cui indossa l'anello al dito.
Ma
ecco che accade qualcosa: interviene nuovamente Gollum, giocando
l'ultimo ruolo che gli compete nel romanzo, rimpossessandosi
dell'agognato
tesoro con la forza e precipitando con
esso nelle viscere della
montagna. E risollevando così
le sorti della Terra di Mezzo. La pietà di Frodo si rivela
davvero provvidenziale!
Per
concludere, credo che il cristianesimo dell'autore si riveli appieno
in momenti letterari come quelli appena illustrati, piuttosto che in
millantati quanto evanescenti simboli religiosi.